Home
L'impronta magnetica della Via Lattea
2014-05-06 00:00:00
Image

L’ultima fatica del telescopio spaziale ESA è la mappa più precisa mai realizzata della luce polarizzata emessa dalla polvere interstellare presente nella nostra galassia. Mandolesi (INAF): «Ancora non copre la regione esplorata da BICEP2, ma è la migliore prova della capacità di Planck di misurare la polarizzazione».

Tutti pazzi per la polarizzazione. Da quando, il 17 marzo scorso, gli scienziati di BICEP2 hanno annunciato da Harvard d’essere riusciti a cogliere, grazie a essa, l’eco delle onde gravitazionali primordiali, questa bistrattata caratteristica della radiazione elettromagnetica ha d’improvviso spodestato colleghe ben più note, come l’ampiezza o la frequenza. Prova ne sia l’ultimo risultato reso pubblico dalla collaborazione Planck, il telescopio spaziale dell’ESA per lo studio del fondo cosmico a microonde. Misurando la polarizzazione della luce emessa dai microscopici grani di polvere che pullulano nel mezzo interstellare, i ricercatori di Planck sono riusciti a delineare la mappa completa del campo magnetico della nostra galassia.

L’impronta magnetica della Via Lattea, l’hanno chiamata. E questa volta la metafora è quanto mai azzeccata: già al primo sguardo, infatti, le curve in tonalità seppia dell’immagine – resa oggi pubblica dall’Agenzia spaziale europea – ricordano immediatamente le anse tortuose disegnate dalle creste e dalle valli che solcano, rendendoli unici, i nostri polpastrelli. L’impronta galattica ottenuta da Planck, però, non serve a distinguere la Via Lattea dalle centinaia di miliardi di altre galassie che popolano l’universo: il suo scopo principale è tracciare le direzioni del campo magnetico

E se è vero che non è stata presa con un tampone – l’inchiostro utilizzato per catturarne ed esaltarne il profilo è, appunto, la polarizzazione – c’è comunque una polverina alla base della scoperta. Non quella con la quale la scientifica cosparge delicatamente la scena d’un delitto, sia chiaro, ma pur sempre microscopici grani di polvere che, insieme al gas, formano il mezzo interstellare.

Dal magnetismo alla polvere

Ma cosa c’entrano i grani di polvere con la luce polarizzata? E questa con il campo magnetico della galassia? Per capirlo, partiamo dalla polarizzazione. Così come l’intensità e il colore d’un raggio di luce dipendono dall’ampiezza e dalla frequenza delle onde che lo formano, anche la polarizzazione è una caratteristica della radiazione elettromagnetica: in particolare, descrive l’orientamento del campo lungo il quale le onde oscillano mentre si propagano. Se le onde sono tante, questi campi, di norma, sono orientati indistintamente in tutte le direzioni. In alcune circostanze, però, le oscillazioni tendono a preferire un orientamento particolare: in questi casi diciamo che la luce è “polarizzata”.

È quanto accade, per esempio, con la luce riflessa da uno specchio, o dalla superficie del mare. Ed esistono particolari filtri – come quelli usati negli occhiali polarizzati – in grado d’assorbire la luce polarizzata, riducendo così l’abbaglio dovuto ai riflessi del sole. Ebbene, uno di questi casi riguarda la radiazione a infrarossi e microonde emessa dai minuscoli grani di polvere presenti nel mezzo interstellare. In particolare, nel caso in cui la conformazione dei singoli grani non sia sferica, sarà maggiore la quantità di radiazione che oscilla parallelamente all’asse più lungo del grano. Di conseguenza, avremo luce polarizzata.

E Il magnetismo? Qui occorre considerare che i gelidi grani di polvere della galassia, oltre a emettere una seppur debolissima radiazione elettromagnetica, spinti da collisioni con fotoni e atomi in rapido movimento ruotano su se stessi a velocità impressionante: decine di milioni di volte al secondo. Ora, poiché le nubi interstellari presenti nella Via Lattea sono solcate da campi magnetici, l’asse di rotazione di questi grani tende ad allinearsi in modo perpendicolare alla direzione del campo magnetico che li avvolge.

Dunque la misura della componente in polarizzazione della luce emessa dai grani di polvere finisce per descrivere, seppure in modo indiretto, l’orientamento assunto dalle linee del campo magnetico della galassia. Ed è esattamente grazie a questo fenomeno che, grazie a quegli strani “occhiali da sole polarizzati” che sono i rivelatori di Planck, gli scienziati sono riusciti a ricostruirne la mappa. La banda scura che corre orizzontalmente, al centro dell’immagine, corrisponde al piano galattico. In esso, dalla polarizzazione emerge uno schema regolare, su grandi scale angolari, dovuto al fatto che le linee del campo magnetico scorrono prevalentemente parallele al piano della Via Lattea. I dati rivelano anche variazioni nella direzione di polarizzazione all’interno delle nubi di gas e polvere confinanti. Un fenomeno ben visibile in alcune forme aggrovigliate presenti al di sopra e al di sotto del piano galattico, laddove il campo magnetico locale è particolarmente disorganizzato.

Per una conferma di BICEP2 non ci resta che attendere

Ma la misura della polarizzazione è balzata recentemente agli onori della cronaca per un altro motivo: l’annuncio da parte del team di BICEP2, un telescopio situato al Polo Sud, della rilevazione d’un segnale in polarizzazione dovuto, però, non ai grani di polvere e al campo magnetico della galassia, bensì alle ineffabili onde gravitazionali primordiali. Un risultato tanto clamoroso quanto bisognoso d’una verifica indipendente.

Potrebbe la mappa di Planck presentata oggi fornire l’agognata conferma del risultato di BICEP2?Reno Mandolesi, responsabile dello strumento LFI di Planck e associato INAF, lo esclude categoricamente. «È la mappa della polvere a latitudini galattiche basse e intermedie: sono dunque escluse le regioni nelle quali l’incidenza della polvere è bassa, le più utili per fare cosmologia, fra le quali la porzione di cielo osservata da BICEP2. Perciò non è da questa mappa», spiega, «che si potranno trarre elementi utili a confermare, o meno, il risultato di BICEP2. Però ci dice che i risultati in polarizzazione sono già qui che mordono, e che probabilmente avranno un maggior impatto rispetto a quelli in temperatura resi pubblici nel 2013. In ogni caso, non esistono a oggi mappe così precise della polarizzazione della polvere nella nostra galassia. E questo ci fa ben sperare circa la capacità di Planck di confermare o meno l’esistenza dei cosiddetti “modi B” della CMB che BICEP2 afferma di aver misurato».